Il titolo di questo editoriale, come qualcuno ricorderà, non è mio, ma di Lenin. Oggi suona un po’ curioso e nostalgico, poiché è assai meno netto il confine tra la morale immorale delle classi dominanti e la morale spesso amorale dei dominati, dei quali, manco a dirlo, facciamo tutti parte.
Vi è stata infatti in questi ultimi decenni, anni, mesi e giorni una crescita d’immoralità vertiginosa che ha investito sia l’alto che il basso della società. Così la grande novità è che il comportamento immorale dei potenti è conosciuto ben oltre i confini della loro privata intimità, ma non scandalizza più la gran massa dei loro cittadini-sudditi.
Avviene un curioso fenomeno di identificazione. Il povero impiegato travet non pensa più alla vita dissoluta e insensata del superboss con orrore e disprezzo, ma con una singolare forma d’invidia. Insomma lo giustifica e sostiene pensando che al posto di quell’altro farebbe lo stesso.
Il veleno che ha imbambolato tutti quanti, l’alto e il basso, è stampato in miliardi di banconote di ogni genere: dollaro, euro, yen, yuan. Si chiama Denaro.
Ora il denaro ha un gran fascino di per sé essendo, come spiegava Marx, l’equivalente generale di tutte le merci. Con il denaro puoi soddisfare ogni desiderio di possesso, dal cibo materiale a quello intellettuale, puoi far del bene o del male, un po’ come ti garba. Ma questo carattere del denaro in sé non spiega la degenerazione di cui poarlavamo. Il denaro esiste da un sacco di secoli, ha corrotto tante persone, come mai siamo arrivati a questo punto?
Il fatto è che un tempo le classi povere avevano sì bisogno di denaro, ma non lo idolatravano e dicevano con saggezza che “il denaro non fa la felicità, anche se aiuta”.
Oggi invece il denaro come feticcio astratto, come valore in sé si è impadronito delle menti. Non più il denaro come utile mezzo di scambio, o anche riserva di sicurezza e libertà, ma come desiderio in sé, come accumulazione infinita, il denaro come Capitale.
Per due secoli il Capitale si è scontrato frontalmente con il lavoro, cioè con la resistenza umana allo sfruttamento, poi è riuscito a costringere il lavoro nelle sue regole, a farlo diventare motore del Capitale stesso. Ha creato così una nuova razza di schiavi, gli schiavi per abitudine, per interesse, addirittura per scelta.
Ha vinto per due ragioni.
La prima è che è diventato così enorme da spersonalizzarsi, incarnandosi in singolari proprietari/funzionari del Capitale stesso, totalmente disumani nella loro banalità operativa, del tutto diversi dai primi capitalisti/imprenditori, i cui veri eredi sono oggi quelle migliaia di padroncini di microimprese spesso dipendenti dalle grandi compagnie, quasi nuovi proletari mascherati.
La seconda è che ha scavato nel profondo delle menti, affinato un macrosistema mediatico e ideologico onnicomprensivo. In altre parole ha rincoglionito la gente con l’affermazione assoluta dei suoi pseudovalori: il denaro stesso come mezzo e fine, il potere come mezzo e fine, il successo come mezzo e fine. Questo triangolo infernale è diventato il labirinto nel quale si è smarrita anche quella che una volta era la “nostra” morale, la morale di chi si ribellava, dei rivoluzionari, degli artisti, dei comunisti, addirittura dei cattolici.
“Che fare?”, per dirla con il nostro Vladimir Ilic Ulianov, detto Lenin, citato all’inizio. Per rispondere dovrei scrivere un libro, il terzo “Che fare?” dopo quelli di Cernicevski e di Lenin, ma sarebbe troppo lungo. Così me la caverò con alcune linee guida, riassumibili in una sola raccomandazione agli ultimi naufraghi delle rivoluzioni passate e ai nuovissimi giovani esploratori delle rivoluzioni future.
Non dimenticate mai che le idee, le forme, le immagini, lo stile, i sentimenti umani sono alla base di tutto: vita e felicità, corpo e anima non possono essere separati altrimenti si perdono entrambi.
Vignetta di Giorgio Franzaroli.
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