I cento giorni
di Letta e Alfano
di Vincenzo Sparagna - 21-5-2013
Da qualche tempo i governi promettono di realizzare mutamenti decisivi già nei loro primi cento giorni. Una regola cui non si è sottratto nemmeno l’attuale esecutivo italiano delle larghe intese. L’espressione “cento giorni” viene direttamente dal 1815. È il periodo che corre dal 20 marzo, giorno in cui Napoleone, fuggito dall’isola d’Elba, arrivò a Parigi per tentare la rivincita sulla Santa Alleanza, all’8 luglio dello stesso anno, quando Luigi XVIII si re/insediò sul trono di Francia mentre Bonaparte veniva esiliato a Sant’Elena. I cento giorni furono dunque un breve ciclo di intensa mobilitazione (Napoleone riorganizzò in un lampo l’esercito e affrontò le armate nemiche) che si concluse tuttavia con la sconfitta dei patrioti francesi da parte di prussiani, inglesi, austriaci e russi coalizzati sotto le bandiere della Restaurazione. Oggi la situazione è ben diversa. Prima di tutto i napoleoni nostrani non suscitano la stessa ondata di entusiasmo che accompagnò il ritorno del grande còrso, anzi galleggiano tra la diffidenza e l’odio di gran parte della popolazione. In secondo luogo il nemico non sono gli eserciti del Congresso di Vienna o, come vaneggia qualcuno, la signora Merkel (!!), ma una crisi strutturale del sistema capitalistico che non può essere vinta a colpi di cannone. Infine il loro attivismo è agli antipodi di quello di Napoleone: è fatto di meschine misure d’urgenza, di eterni rinvii, di chiacchiere neocostituenti senza anima. L’ossessivo richiamo ai cento giorni è dunque solo la spia dello smarrimento delle nostre classi dirigenti, incapaci di pensare davvero al futuro, prigioniere dell’emergenza perpetua, invischiate in intrighi, ricatti e privilegi anche più scandalosi di quelli della monarchia capetingia o dell’impero napoleonico. Per uscire da questa palude servirebbe tutt’altra pasta di governanti, gente nuova, intransigenti Robespierre capaci di colpire la corruzione senza pietà, violare le sedicenti leggi del mercato, porre l’umanità e la natura al centro di ogni progetto. In assenza di questo capovolgimento radicale non basteranno né cento giorni, né cento anni e la nostra sconfitta sarà più catastrofica di quella della Francia rivoluzionaria il 18 giugno 1815 nella pianura belga di Waterloo.
Vignetta di Giuliano, pubblicata su FRIGIDAIRE n.236 (agosto/settembre 2011).
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