Buenos Aires 1976
di Vincenzo Sparagna - 1-5-2013
Nell’estate del 1976, portandomi appresso un giovanissimo Sandro Ruotolo, che come me scriveva su Il Manifesto, entrai clandestinamente in Argentina per incontrare i compagni Montoneros e dell’Erp (Ejercito Revolucionario del Pueblo) che resistevano in armi alla sanguinosa offensiva dei golpisti del generale Videla. Recavo messaggi dei compagni argentini esuli in Italia, tra i quali soprattutto il caro Rubèn Sergio Caletti, che avevo conosciuto anni prima, quando, fuggito dal Cile di Pinochet attraverso le Ande, avevo raggiunto l’Argentina “liberata” del generale Peròn. Io e Sandro passammo il confine sul Rio Paraguay e venimmo ospitati a Buenos Aires da una compagna montonera, in seguito rifugiata a Parigi.
Era un inverno cupo. Ogni giorno sparivano amici, compagne e compagni, si respirava sangue. Uno dei nostri contatti fu sequestrato sotto i nostri occhi, mentre lo aspettavamo nella redazione del Diario de Noticias. Fu ritrovato cadavere due giorni dopo insieme alla sua fidanzata, la bella diciannovenne Paz Alicia, il cui volto bruno mai dimenticherò. Un altro, il responsabile di Interpress, si salvò saltando dalla finestra. Alla fine anche noi fummo individuati e scappammo in un’alba gelida traversando il rosso Rio de La Plata su un motoscafo verso l’Uruguay. Durante quelle settimane clandestine incontrai molte delle personalità democratiche ancora libere, tra cui il futuro presidente Raul Alfonsin, che viveva barricato nella sua casa temendo l’irruzione degli squadroni della morte. Andai anche alla sede dell’Arcivescovado per capire cosa faceva la Chiesa argentina. Trovai un vescovo affranto, che bisbigliò qualche parola di circostanza, ma confessò di non poter fare nulla. Nelle gerarchie più alte e in Vaticano c’era chi simpatizzava addirittura per la giunta militare, chi, come il nostro vescovo, bisbigliava il suo disgusto senza poter muovere un dito, chi, nei barrios della periferia, aiutava i fuggiaschi a evitare la tortura e la morte. L’attuale Papa Jorge Mario Bergoglio era all’epoca il provinciale dei gesuiti. A quanto mi è dato sapere cercò in qualche modo di aiutare alcuni dei perseguitati, ottenendo, date le cirostanze, poco o nulla. In seguito, fatto vescovo e poi cardinale, sostenne i parroci delle periferie proletarie e fu il promotore della richiesta di perdono per il comportamento di tutta la Chiesa durante la dittatura. Per questo indicarlo oggi come uno dei complici di quella sciagurata stagione di morte è una forzatura storica priva di senso. Bisogna invece rallegrarsi che dalle sentine nauseabonde di una Chiesa corrotta sia emerso tuttavia un Papa che ha saputo uscire dal buio del fascismo senza macchia, un buon padre, da sempre vicino alla povera gente della Gran Buenos Aires.
Illustrazione di Gianni Cossu, autore di FRIGIDAIRE e IL NUOVO MALE.
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