Guerra continua
di Vincenzo Sparagna - 22-3-2014
La rivolta nazional-europeista che ha rovesciato in Ucraina il corrotto presidente Yanukovich e le conseguenti ribellioni filorusse in Crimea e nelle regioni dell’est hanno reso nuovamente concreta la possibilità di uno scontro militare tra est e ovest dell’Europa. Molti osservano gli eventi increduli: non siamo forse in un’epoca di pace globale? La risposta, purtroppo, è no. In primo luogo le guerre guerreggiate non sono oggi né poche, né isolate. In Siria, in Nigeria, in Afghanistan, nel Corno d’Africa ecc. ci si ammazza senza risparmio, con grande consumo di armi e grandi profitti per chi le produce. Ma oltre queste guerre evidenti c’è un conflitto segreto e invisibile che non si ferma mai, anzi diventa sempre più feroce. È la competizione tra capitali per il controllo delle materie prime e la conquista dei mercati, una gara che non segue il motto olimpico secondo cui l’importante è partecipare. Qui l’unica cosa che conta è vincere, perché chi perde fallisce e viene cancellato. Ecco perché si continuano a creare arsenali militari enormi in Usa come in Europa, in Russia come in Cina o in Iran. Certo sparare rimane, almeno a parole, l’ultima ratio, come dice l’ineffabile Putin, ma non è affatto escluso. Così, grazie al principio unanimemente condiviso e apparentemente innocuo che “bisogna essere più competitivi”, siamo seduti su una polveriera. Appena il limite degli interessi vitali (di uno dei capitalismi in conflitto) è superato, ecco che i bombardieri, i missili, i carri armati e le vecchie mitragliatrici escono dagli arsenali. Per neutralizzare questa guerra latente, fantasma d’acciaio che sta dietro ogni crisi economica e ogni gara commerciale, dovremmo creare un equilibrio mondiale fondato sulla cooperazione. Ma come farlo se la radice del sistema resta l’accumulazione di profitto? Come rovesciare il vero pensiero unico dominante, ovvero l’ideologia della competizione? Pensate che ogni anno girano nel circuito della sola finanza speculativa circa 600 mila miliardi di dollari, l’equivalente dell’intero PIL di tutti gli Stati del mondo. Sono capitali che si divorano tra loro, denaro morto che si allarga all’infinito sulla pelle di miliardi di persone sfruttate che vivono nell’indigenza su un pianeta sempre più avvelenato. Non nascondiamolo: finché non riusciremo a portare sotto il controllo collettivo degli esseri umani le immense ricchezze gestite oggi dalla logica astratta del profitto, la pace resterà una fragile crosta sotto la quale cova il fuoco di guerre sempre più distruttive.
Immagine di Pablo Echaurren, pubblicata su FRIGIDAIRE n.233 (aprile 2011).
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