L'ossessione della crescita
di Vincenzo Sparagna - 1-1-2016
Siamo cresciuti dello 0,7 o dello 0,8? Nel 2016 l'inflazione salirà come vorrebbe il governatore della BCE Mario Draghi o resterà ferma allo zero virgola di oggi? A parte la cronaca nera e gli attentati terroristici, che fanno più audience per il fascino perverso del sangue e della paura, sono questi gli argomenti che appassionano oggi politici e commentatori. Non c'è talk show che non abbia la sua appendice numerica e le sue tabelle: si cita l'Istat, l'Inps, il Sole 24 Ore, si discute su quanta crescita si avrà, quanta se n'è avuta, quanta ne servirebbe. È un'ossessione che rispecchia perfettamente il carattere assurdo del nostro modo di vivere. Siamo infatti ingranaggi di un modo di produzione mostruoso il cui fine non è risolvere i tanti problemi dell'umanità, ma accumulare profitti all'infinito. Quando questa accumulazione rallenta ecco il panico, la crisi, la recessione. D'altra parte la crescita di cui si parla è misurata esclusivamente in termini di denaro. Anche un aumento delle malattie, che nella vita reale produce dolore e sofferenza, può essere in economia un dato positivo perché moltiplica il fatturato dell'industria farmaceutica. E lo stesso accade con il mercato delle armi. Più si consumano bombe e pallottole in conflitti che divorano intere popolazioni e distruggono territori, più questo ramo della produzione si allarga con effetti "benefici" sugli indicatori economici. Inoltre nel calcolo della crescita quello che conta è il risultato immediato, mentre gli effetti di lungo periodo sono del tutto secondari. Ad esempio i movimenti ecologisti hanno dimostrato da anni che un certo tipo di sviluppo avrebbe prodotto una catastrofica mutazione delle condizioni climatiche e della vita sulla terra. Ma niente di decisivo è stato fatto, perché tutti, governi, popoli, aziende, singoli individui continuano ed essere prigionieri del consumo patologico, unica misura "razionale" dello sviluppo. Anche dopo la megaconferenza di Parigi gli accordi sulla riduzione delle emissioni restano più ipotesi che realtà. Si riconosce finalmente il problema, ma ciascuno cerca di evitare i tagli che potrebbero abbassare il proprio tasso di crescita. Assistiamo così in questi giorni all'ultimo beffardo paradosso: contro gli effetti delle polveri sottili che avvelenano le città in occidente come in oriente la nostra società ultratecnologica invoca impotente la pioggia e il vento come nelle antiche epoche selvagge.
In alto: vignetta di Ugo Delucchi pubblicata su FRIGIDAIRE n.241, di marzo 2012.
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