Walter Veltroni si è dimesso da segretario del P.D. scusandosi per non essere riuscito a realizzare il suo progetto, o il suo sogno, come dice lui. Ma il problema è che il sogno di Veltroni (un “riformismo a vocazione maggioritaria”) era proprio un sogno e basta.
L’illusione del progetto stava e sta infatti proprio nella parola “riformismo”.
Sotto questa definizione, sin dai tempi dell’Ulivo (ma la cosa ha origini ben più lontane), si nasconde una vera mistificazione: l’idea che il sistema capitalistico non debba essere cambiato, ma semplicemente governato “un po’ meglio”. Questa riduzione delle contraddizioni della società contemporanea a una banale questione di “buon governo” è stata una sciagura ideologica che ha frantumato la sinistra italiana e consegnato nei fatti il paese a una nuova destra neofascista e neorazzista. Perché il governo della società non è neutrale. La politica non è mai semplice amministrazione, che si può fare più o meno bene, con maggiore o minore efficacia, è sempre un progetto, è un intervento che ha una sua finalità e una sua logica.
In una società come la nostra, dominata dallo sfruttamento della stragrande maggioranza della popolazione da parte di una piccola minoranza di privilegiati (che si conservano tali perché sono impegnati nell’accumulazione infinita di profitto), la semplice amministrazione non può che essere funzionale alla riproduzione dell’attuale sistema sociale. Per la destra la politica è dunque sì amministrazione, poiché essa deve solo conservare gli attuali equilibri (ovvero squilibri) di classe.
Non a caso lo Stato, come dice giustamente Berlusconi, deve limitarsi in questo sistema a pesare il meno possibile, a creare le condizioni ottimali perché trionfi nella società la concorrenza, la logica del più forte, del più ricco, del più furbo. In breve poiché la società civile attuale è la “guerra di tutti contro tutti”, il cui unico regolatore è il mercato, la politica borghese deve solo “amministrare”, “governare” questa guerra. Certo lo Stato può intervenire a moderare gli eccessi del dominio di questo o quel gruppo, ma il principio stesso del mercato è che i più forti vincano e i più deboli periscano, che la competitività trionfi e chi deve morire muoia.
Del tutto diversa dovrebbe essere la visione della politica da parte di una sinistra consapevole di che mondo ha intorno.
Per la sinistra l’orizzonte non può che essere il superamento di questa logica di guerra. Il principio di eguaglianza dovrebbe essere la sua stella polare. E ogni decisione politica dovrebbe tendere verso questo fine: contrastare il mercato, non semplicemente regolarlo, ma piegarlo agli interessi umani. Da ciò la difesa dei diritti, la conservazione dell’ambiente, la scelta di una strategia di pace, il rifiuto della “competitività” astratta in favore della solidarietà. Dunque nient’affatto la “buona amministrazione”, che in sé non vuol dire nulla, ma l’amministrazione politica di un processo di mutamento, per cambiare in profondità la filosofia stessa su cui si regge la società del mercato.
Purtroppo, avendo rinunciato a questo orizzonte, la sinistra italiana si è imbarcata da anni in un’idea di amministrazione che non le appartiene, in un’idea del “buongoverno” astratta e impotente.
Se non riuscirà a riscoprire la sua vocazione reale la sinistra è dunque destinata a scomparire. Al più potrà essere una destra meno selvaggia e meno barbara… Ma una destra così, proprio nei momenti di crisi come quello attuale, non ha spazio, né futuro: ed è qui che l’irrazionalità del “sogno” veltroniano è apparsa in tutta la sua evidenza.
Se il Partito Democratico procederà su questa strada niente lo salverà dall’annientamento.
Infine vorrei qui solo accennare (ci tornerò un’altra volta) al problema della ”maggioranza”.
Certamente la stragrande maggioranza del popolo è fatta di proletari. Ma essi non sanno di esserlo.
L’ideologia, la propaganda, il controllo dei media, la infinita differenza delle condizioni di vita mascherano la condizione reale delle persone. Ognuno si illude di essere un gradino più su di qualcun altro. Questa molteplicità di differenze deve essere affrontata nella sua dimensione culturale. Ma proprio il fatto di aver cancellato l’orizzonte generale del cambiamento rende infinitamente più difficile farlo. L’ambizione “maggioritaria” è dunque giusta, a patto di non ignorare che sono spesso le minoranze ad aver ragione. Cancellarle impedisce proprio che si realizzi la “vocazione maggioritaria”. Riflettici Walter (e torna a studiare Gramsci…ti sarà utile).
Vignetta di Giorgio Franzaroli.
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