Spesso si è discusso se durante il nazismo i tedeschi (e in generale gli europei) conoscessero davvero gli orrori dei campi di concentramento e se dunque ne fossero tutti complici volontari.
Molti hanno osservato che era difficile non vedere le persecuzioni contro gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali, i comunisti… Ma altri hanno fatto notare come il controllo assoluto della stampa da parte dei regimi fascisti impedisse di cogliere l’enormità dei crimini che si stavano commettendo.
Comunque sia andata è indiscutibile che oggi le cose sono assai diverse. Non solo perché i mezzi di comunicazione si sono moltiplicati e dunque le occasioni di informarsi sono enormemente maggiori, ma perché non è possibile un sistema di controllo centralizzato nazista o stalinista, anche se ci sono nuove forme di censura e autocensura.
Eppure rispetto a tragedie e a persecuzioni non molto diverse, in certi casi perfino più gigantesche di quelle degli anni ’30, vi è lo stesso silenzio, la stessa tacita acquiescenza dell’opinione pubblica.
In televisione vengono mandate in onda ogni giorno le immagini insopportabili dei migranti naufraghi sulle coste italiane ed europee, reportages ci informano sui campi di concentramento per extracomunitari e per zingari che sorgono a due passi da casa, altri reportages raccontano la vita nelle baraccopoli degradate delle periferie, la disperata miseria di paesi interi, la fame e le guerre che affliggono centinaia di milioni di individui, la mancanza d’acqua potabile per un quarto dell’umanità, ma tutto ciò scorre come un fiume noioso sulle coscienze dei più.
Pochissimi sembrano indignarsi, la gente, come usa dire, cambia canale, i programmi più seguiti sono quelli che non dicono niente, intrattengono e basta, istupidiscono.
Chi poi, come facciamo noi qui a Frigolandia, vuole creare almeno qualche barriera, qualche forma di contrasto alla barbarie crescente, viene per lo più del tutto ignorato, come se non esistesse.
Questa indifferenza ha invaso da tempo anche il territorio della cosiddetta “arte”. Non è il “disimpegno”, è il nulla. Incontro spesso ( e tanti hanno gravitato anche intorno a Frigidaire e a Frigolandia in questi ultimi anni) dei sedicenti “creativi”, dei sedicenti “artisti”, che guardano solo al proprio ombelico o al proprio miserabilissimo portafoglio. Sempre a caccia di carriere e successi facili, indisponibili a sacrificare anche solo un microframmento del proprio reddito (i 100 euro del nostro passaporto ad esempio) per contrastare la deriva incivile della nostra società e del pianeta. Certe volte mi chiedo in cosa si differenzino questi intellettuali senza intelletto dai tanto deprecati “borghesi” egoisti e mi rispondo: in niente, sono solo più ipocriti.
Così mi sembra che non è giusto dire che ci sono troppi giovani che sognano di fare i calciatori o le veline, ce ne sono purtroppo molti altri, uguali a loro, che vorrebbero, con le stesse motivazioni, diventare “artisti”. Fa tanto glamour e c’è pure la speranza di arricchirsi o rimorchiare, chissà…
Purtroppo i veri artisti (a differenza dei falsi) hanno un’anima e perciò finiscono quasi sempre in quei campi di concentramento dei quali ai pseudoartisti non frega nulla.
Ma, come cantava Luigi Tenco, “un bel giorno cambierà, forse non sarà domani, ma vedrai che cambierà…”.
Vignetta di Fabrizio Fabbri.
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