Qualcuno è già al mare, molti altri ci andranno in agosto a passare qualche giorno di ferie.
Ferie contate, faticosissimamente strappate a un lavoro spesso disumano e alienante, a una vita dominata dalla velocità isterica, dal rumore e dagli affanni.
E, giustamente, al mare faranno i bagni, cercheranno diversivi, distrazioni, spesso sballi di una notte o di una settimana, prima di tornare al ritmo infernale delle sveglie mattutine e delle rate.
Eppure in quello stesso mare, blu o arancio a seconda degli scarichi limitrofi, molto più al largo, nel tempestoso mediterraneo, mare nostrum di romana memoria, ogni giorno, ogni notte c’è gente che affoga su zattere, barconi bucati, gommoni in disuso, tonnare lasciate al largo.
Nel solo tratto tra la costa spagnola e quella marocchina ne sono morti mille in un anno. Altrettanti, forse molti di più, sono scomparsi tra la Libia e Lampedusa, al largo di Malta, in vista delle coste siciliane.
Sono uomini, donne, bambini, giovani ragazze, persone innocenti perseguitate dalle guerre e dalla fame dovuta alla rapina coloniale, post-coloniale ed ex coloniale. Essi fuggono da guerre, fame, persecuzioni religiose e barbarie giuridiche. Cercano lavoro, una vita più tranquilla, un’esistenza dignitosa, di restare almeno vivi.
Ebbene l’attuale legislazione ingiusta e xenofoba li obbliga a pagare cifre incredibili a dei farabutti che li imbarcano su vuoti a perdere, li fanno arrivare laceri e nudi alla meta, spesso li uccidono in mare, purchè paganti. Questi viaggi disperati che partono dalla costa libica verso l’Italia costano a ciascun viaggiatore quanto la traversata degli oceani in prima classe. Per poter pagare il passaggio essi vendono le loro cose e magari se stessi, non avendo altra via d’uscita dalla morte che la fuga.
Ebbene cosa facciamo noi italiani? Li lasciamo annegare, poi cerchiamo di soccorrerli, spendiamo milioni per salvarli dalle onde, nutrirli, coprirli di coperte e spedirli in lager inutili per mesi e mesi. In attesa di un decreto di espulsione ingiusto quanto assurdo, che arriva puntuale.
“Vada subito via! Ritorni al suo paese!”. “Ma vengo dall’Africa equatoriale e ho attraversato il deserto a piedi e il mediterraneo in gommone…”. “Si arrangi, entro quindici giorni deve lasciare l’Italia”.
Ovviamente nessuno se ne può andare. Così restano in Italia (o in Europa) dove trovano riparo e lavoro (in nero) e diventano… “clandestini”.
Non per scelta, per obbligo, per legge!
Ed ecco che la perversa idiozia govermativa e nazionale si inventa addirittura il reato (o l’aggravante che è quasi lo stesso…) di “immigrazione clandestina”.
“Non sei tornato a nuoto in Libia e a piedi nel tuo paese? Ma allora sei un criminale e meriti la gelera!”.
Questa assurdità, che condanna a morte tanta gente innocente e tutti gli altri a una clandestinità obbligatoria e pesantissima, passa per “contrasto all’immigrazione clandestina” e sembrano tutti d’accordo, destra ed (ex) sinistra, espelliamoli, blocchiamoli, pattugliamo con i carabinieri anche il Sahara (l’ultima barzelletta libica…).
Intanto il genocidio continua e costa allo Stato italiano (cioè a noi contribuenti) centinaia di milioni di euro all’anno. E dire che dall’Africa, con tutta la crisi che c’è, arrivano appena il 10 per cento degli immigrati (involontariamente) clandestini.
E allora?
Ecco, la domanda è questa: ma nessuno vede il massacro? Nessuno si indigna per lo spreco di soldi e di vite umane? Nessuno si domanda che senso ha condannare la gente ad essere clandestina?
Non sarebbe più pratica, umana ed economica una linea di traghetti civili tre volte a settimana? (io ci sto seriamente pensando, fatemi sapere se c’è un imprenditore, un piccolo armatore coraggioso…).
Pensate: arriverebbe gente serena, gentile, tranquilla e volenterosa, dopo aver pagato un normale biglietto. In più sarebbe vestita, avrebbe i propri bagagli, i soldi in tasca. 
Non sarebbero subito più contenti i proprietari di alberghi e ristoranti?
Con quello che pagano alle organizzazioni criminali per arrivare nudi (o a nuoto… o non arrivare), potrebbero pagarsi tutti il biglietto in prima classe e la pensione completa per almeno sei mesi. Così avrebbero il tempo di trovarsi un lavoro e sarebbero tutti perfettamente identificati e identificabili…
Invece ognuno dei nuovi e innocenti ex naugfraghi, carcerati nei Centri di Accoglienza Temporanea (i famigerati CTP), ci costa (a noi poveri italiani, perché i ricchi evadono…) come due statali (o parastatali, o altro) nullafacenti. In cambio “l’assistito” (ma meglio sarebbe dire la vittima) viene chiuso in un durissimo carcere-lager e ottiene una sbobba quotidiana da topo di fogna.
Ma chi sono i veri topi? E quando finiranno davvero nelle fogne?
Mentre fate il bagno pensateci. E immaginate di essere anche voi “clandestini” aggrappati a una tonnara con duemila metri d’acqua sotto e nessuna nave in vista, mentre una donna e un bambino affogano gridando tra le onde, a pochi metri da voi…
Vi lascio con i versi di Thomas Eliot dedicati a tutti i naufraghi del mare e della vita.
La morte per acqua
Phlebas il Fenicio, morto, da quindici giorni
Dimenticò il grido dei gabbiani, e il fondo gorgo del mare,
E il profitto e la perdita.
Una corrente sottomarina
Gli spolpò l’ossa in sussurri. Come affiorava e affondava
Passò attraverso gli stadi della maturítà e della giovinezza
Procedendo nel vortice.
Gentile o Giudeo
O tu che volgi la ruota e guardi nella direzione del vento,
Pensa a Phlebas, che una volta era bello e ben fatto al pari di te.
Immagini di: Mario Pischedda, "Gianni Atzeni che guarda il mare" e di Maila Navarra, "Ombra".
[ Archivio Editoriali ]
|